PORDENONE, PREFETTURA A RISCHIO CHIUSURA…?

prefettura pnL’ipotizzata chiusura della Prefettura di Pordenone che, in questi giorni, ha innescato un dibattito alimentato, spesso, da interessi che nulla hanno a che vedere con l’importanza  del ruolo che l’istituzione svolge sul territorio, richiede alcune considerazioni utili a mettere qualche  punto fermo per fare chiarezza, visto che i messaggi che giungono attraverso i mass media fanno intravvedere una certa confusione e molta disinformazione.

Orbene, il primo paletto lo dobbiamo fissare circa quella che viene fatta passare per una conclusione ineluttabile. Quella diffusa, è una bozza di D.P.R. datata (risale al mese di maggio scorso) se consideriamo la rapidità con la quale evolvono le situazioni, il cui iter non è ancora avviato. Nel frattempo  due fatti si sono verificati: la nomina del Prefetto e l’esplosione del fenomeno dell’immigrazione dalla “rotta” balcanica.

Soprattutto quest’ultimo, drammatico sviluppo del “nuovo esodo”, può essere motivo per rivedere una decisione che, ripetiamo, ancora non è definitiva. Certamente il maggior peso lo sostengono i territori di confine (Gorizia, Udine e Trieste) che sono in prima linea, ma le retrovie sono quelle di Pordenone che già sopperisce, quando occorre, alle difficoltà di accoglienza delle altre province e, ancor di più sopperirà quando sarà pronto l’Hub della ex caserma “Monti”.

Gli ultimi sviluppi a livello europeo, con gli stati che chiudono le frontiere, non può non fare temere che la rotta finora seguita dai migranti possa deviare verso l’Italia e, quindi, verso il nostro territorio che sopporterà un impatto impressionante. E’ pensabile “chiudere” un presidio come quello di Pordenone?

Anche la nomina del Prefetto sembra in controtendenza: un incarico di un anno e mezzo da “commissario liquidatore”?  Quale lo scopo, se in sede già vi sono funzionari prefettizi che hanno retto egregiamente l’Ufficio?

Altra riflessione dobbiamo fare sull’azione del Governo. Questo Governo ha avviato, nel bene o nel male (il tempo sarà giudice imparziale), una stagione di riforme inimmaginabile fino a pochissimi anni fa. Le iniziative e gli eventi si succedono con una tale rapidità che le vicende dei precedenti governi e dei personaggi politici sono solo ricordi sbiaditi. Le riforme avviate preludono a cambiamenti epocali ma, come al solito, il cambiamento vogliamo che inizi dagli altri.

Questo non è possibile. E non è possibile pensare di porsi, rispetto al cambiamento, in una logica di preclusione pura e semplice. Non si va da nessuna parte e, anzi, si corre il rischio di instaurare contrapposizioni e irrigidimenti fuorvianti rispetto alle reali esigenze da garantire. La riforma della scuola è un esempio di un muro contro muro governo-sindacati che ha lasciato molte macerie e irrisolti molti nodi.

Il processo di cambiamento non deve essere osteggiato ma deve essere accompagnato e concordato, con concretezza e non con semplicistiche ed inconcludenti enunciazioni di principio.

Ecco, dunque, che il comma 2, dell’art. 10, della bozza di D.P.R. prevede l’individuazione delle “sedi di particolare complessità e rilevanza”. A nostro avviso, per le Prefetture da chiudere potrebbe essere prevista una sede “distaccata” della Prefettura accorpante al fine di assicurare la prestazione di servizi sul territorio, senza costringere i cittadini a spostarsi.

Una struttura siffatta, più snella e più “economica” in quanto senza Prefetto, senza Ufficio di Gabinetto, Segreteria di Sicurezza e Cifra, senza alloggio del Prefetto e senza spese di rappresentanza (non dimentichiamo che il Prefetto rappresenta il Governo) potrebbe assicurare al cittadino l’attuale standard dei servizi e assecondare le esigenze di riorganizzazione della rete delle Prefetture. Chi sostiene che oggi come oggi si può fare tutto con un click del computer, evidentemente non conosce quali pratiche siano seguite dalla Prefettura, né ha consapevolezza del tipo di utenza  che si rivolge alla Prefettura che spesso svolge funzioni di consulenza e supporto al cittadino. Basti pensare a tutto il contenzioso in materia di circolazione stradale, alle problematiche dell’immigrazione e della cittadinanza, alle licenze di polizia in materia di armi, esplosivi, guardie giurate, istituti di vigilanza e investigazione, alla depenalizzazione, alle competenze in materia elettorale, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla certificazione antimafia, solo per citare alcuni dei circa 270  procedimenti e attività in capo ad una Prefettura.

Analogamente per la Polizia di Stato, cessando la presenza della Questura, potrebbe essere prevista una struttura con un organico rafforzato rispetto a quello medio di un Commissariato. Addirittura potremmo pensare alla costituzione di un altro Commissariato in un comune della provincia, al fine di spalmare l’attuale dotazione organica della Questura garantendo adeguati livelli di controllo del territorio.

Anche per i Vigili del Fuoco si dovrebbe pensare ad una struttura complessa che assicuri i servizi attualmente erogati dal Comando Provinciale. Si pensi, ad esempio, a tutta l’attività di prevenzione e certificazione in materia di incendi per le industrie, il commercio, gli edifici pubblici e privati.

Insomma, a nostro avviso, sono ampi i margini  per ragionare sulla questione ed evitare che la città di Pordenone e il territorio provinciale vengano privati degli apparati essenziali ai fini della tutela della sicurezza.

Da ultimo, come organizzazione sindacale, abbiamo il dovere di pensare anche al personale ministeriale in servizio negli Uffici interessati. Il personale dell’Amministrazione Civile dell’Interno lavora non solo in Prefettura ma anche in Questura, presso il Comando provinciale dei Vigili de Fuoco e presso la Sezione di Polizia Stradale.

Anche per loro non è pensabile una battaglia di retroguardia, una preclusione ed un rifiuto netto a qualsiasi soluzione che riesca a conciliare il cambiamento con la salvaguardia del posto di lavoro.

Non sarà facile, perché la burocrazia dei vertici ministeriali ha considerato i colleghi prefettizi (pubblici e in regime di specialità), ma ha “dimenticato” il personale contrattualizzato (privatizzato e omologato a tutti i ministeriali). 

In tempi non sospetti e in assoluta controtendenza rispetto alle rassicurazioni che gli altri sindacati cercavano di diffondere, Federazione Intesa andava preannunciando, nelle assemblee, che presto sarebbe arrivato il momento della riorganizzazione e della mobilità anche per il personale delle Prefetture e degli altri uffici periferici del Ministero dell’Interno. Quel momento sta arrivando e, purtroppo, trova i lavoratori non adeguatamente attrezzati.

La Camera dei Deputati ha approvato, il 17 luglio scorso, l’ordine del giorno 9/03098-A/072 che recita “La Camera, premesso che: si ritiene necessario riportare il personale dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno nell’ambito di un “ruolo speciale” della PA, come già previsto dal DPR n.340/82, in considerazione delle particolari peculiarità che riveste detto personale in riferimento alle competenze istituzionali rafforzate dai vari legislatori nazionali. I compiti in questione sono stati ampliati nel corso degli anni in virtù di scelte politiche legate al manifestarsi di eventi criminogeni non solo nazionali […] ma anche a carattere sovranazionale (ondate migratorie… ); tale “specialità” riveste un’importanza fondamentale che nel corso degli anni è stata più volte rafforzata dal legislatore nazionale, con L. n.121/81 […] nonché dalla L. n.930/80 […]; a tal proposito, giova ricordare l’impegno quotidiano profuso dai dipendenti dell’Amministrazione civile dell’Interno sia in ambito centrale che nelle strutture periferiche […], impegna il Governo ad adottare le opportune iniziative volte ad inserire il personale civile dell’Amministrazione del Ministero dell’Interno nel cosiddetto ruolo speciale previsto dalla riforma della Pubblica Amministrazione”.

Questa deve essere la strada maestra da percorrere per valorizzare e salvaguardare i lavoratori, inserendoli in un contesto che consenta di affrontare adeguatamente le sfide imposte da un cambiamento non più rinviabile.

Il Segretario regionale
(Ennio Ferrari)

 

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Redazione
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