RATTI (CONFINTESA) RINNOVO CONTRATTI STATALI: una direttiva gattopardiana.

 E’ una manovra dal sapore gattopardiano. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi; facendo due conti, tra Irpef nazionale e locale, il nuovo contratto porterà ben poco a tantissimi lavoratori, proprio quelli delle fasce più basse di reddito”, dichiara Claudia Ratti il Segretario Generale di Federazione Intesa Funzione Pubblica circa la «direttiva madre» di Funzione pubblica che fa ripartire ufficialmente le trattative sul pubblico impiego. Ma il passaggio dal Ministero dell’Economia e delle Finanze si è fatto sentire soprattutto in due punti: un gruppo consistente di dipendenti pubblici proprio in virtù dei cosiddetti “aumenti contrattuali” rischiano di perdere il bonus di 80 euro e viene meno l’indicazione di destinare alle voci fisse della busta paga, tutte le risorse individuate finora dalle manovre per finanziare i contratti. In sostanza se da una parte l’accordo firmato il 30 novembre scorso da CGIL CISL UIL ed UNSA prevedeva l’aumento medio di 85 euro lordi mensili, suddivisi fra parti accessorie e fisse dall’altra il bonus di 80 euro e l’aumento viene di fatto neutralizzato. Nella direttiva si invita l’ARAN a negoziare la disciplina dei permessi ex L.104/1992 e di quelli per donazione di sangue prevedendo un congruo preavviso anche mediante una programmazione mensile; ma “come si può negoziare la disciplina di permessi riconosciuti dalla legge? Il Dipartimento della Funzione Pubblica non è nuovo a queste invenzioni, ricordiamo la famosa Circolare Madia (n.2/2014) che prevedeva l’utilizzo dei permessi personali ai dipendenti pubblici per sottoporsi a visite specialistiche annullata dal Tar del Lazio con la sentenza numero 5714 del 2015”. E’ uno scenario sconfortante, continua Claudia Ratti, in cui questa classe politica non è stata in grado di avviare tempestivamente le trattative per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici e ora chiede ai quattro contratti nazionali di destinare all’aumento delle voci fisse tutti i soldi già stanziati (300 milioni sul 2016, 900 sul 2017 e 1,2 miliardi dal 2018), mentre ai trattamenti accessori legati a performance e condizioni di lavoro dovranno pensare le risorse ulteriori. Una coperta corta che, d’altra parte, non risolve il problema di compensare la perdita del «bonus Renzi» ai circa 200 mila dipendenti pubblici che hanno redditi fra 24 e 26 mila euro.” conclude Claudia Ratti.

Ufficio stampa

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