Intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione: la svolta della “decisione algoritmica” richiede nuove competenze
L’intelligenza artificiale è destinata a rivoluzionare la Pubblica Amministrazione italiana. Le strategie europee, delineate dagli articoli 57-63 del Regolamento (UE) 2024/1689, e le iniziative nazionali, come il disegno di legge n. 2316 (“Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale”) con i suoi articoli 14 e seguenti, spingono verso investimenti significativi in questa direzione. L’integrazione dell’IA non è più un’opzione, ma un imperativo per la PA, in linea con i principi costituzionali di buon andamento, efficienza ed economicità.
Il percorso di digitalizzazione avviato con il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) ha già tracciato la via verso la cittadinanza digitale, privilegiando strumenti telematici nei rapporti tra amministrazione e cittadini. L’IA rappresenta la punta di diamante di questa evoluzione, promettendo di avvicinare i servizi pubblici al cittadino, offrire nuove prestazioni ad alto valore e ridurre i costi. Tuttavia, la strada è ancora irta di ostacoli: permangono limiti infrastrutturali, difficoltà negli investimenti e un deficit di competenze specifiche, oltre a incertezze normative che rallentano lo sviluppo sia nel settore pubblico che in quello privato.
Dalla prima fascia alla decisione autonoma: la sfida dei sistemi di seconda generazione
Attualmente, la Pubblica Amministrazione ha già a disposizione un ampio ventaglio di soluzioni di “prima fascia”. Queste permettono di automatizzare compiti ripetitivi a basso valore aggiunto, come la gestione delle pratiche, il controllo dei documenti e l’elaborazione delle richieste. Ne derivano una riduzione dei tempi procedurali e un miglioramento dell’efficienza operativa, liberando risorse umane per attività di maggiore rilevanza. Assistenti virtuali e chatbot sono già presenti in molti servizi online, facilitando l’accesso dei cittadini a informazioni su procedure e normative. L’IA, inoltre, si rivela preziosa nell’analisi di grandi volumi di dati, identificando modelli predittivi utili a migliorare i processi decisionali e la pianificazione delle politiche pubbliche.
La vera ambizione, però, risiede nel passaggio a un livello superiore: l’uso dell’Intelligenza Artificiale all’interno dei procedimenti amministrativi, sia come supporto alla decisione del funzionario, sia in modo integralmente sostitutivo della decisione umana. Questo rappresenta la “seconda fascia” dei paradigmi collaborativi tra amministrazione e tecnologia, il più ambito per i potenziali benefici. Sull’onda delle esperienze positive maturate nel settore privato, l’IA potrebbe essere impiegata per atti a bassa discrezionalità o di natura meramente tecnica, con la possibilità di correggere eventuali difformità attraverso le norme vigenti in materia di invalidità e responsabilità.
La giurisprudenza amministrativa: apripista per l’algoritmo
La giurisprudenza amministrativa ha giocato un ruolo fondamentale nell’aprire la strada a questa evoluzione. A partire dal 2019, una serie di pronunce ha delineato un percorso che, da un iniziale diniego, ha condotto all’ammissibilità dell’uso dell’algoritmo, fissandone al contempo un perimetro di sicurezza.
Il cammino inizia con la sentenza numero 10964/2019 del TAR Lazio, Sez. III bis. In quel caso, relativo all’assegnazione di docenti, il TAR limitò il ruolo dell’algoritmo a una funzione meramente strumentale, sostenendo che non potesse sostituire l’istruttoria umana. L’informatica, in questa prospettiva, era concepita come un ausilio al processo amministrativo, non un sostituto.
Tuttavia, una svolta significativa è arrivata poco dopo con le tre sentenze 8472, 8473, 8474/2019 della sesta Sezione del Consiglio di Stato. Queste pronunce hanno ammesso l’uso dell’algoritmo nel processo decisionale amministrativo, anche per attività discrezionali. Secondo il Consiglio di Stato, non esistono ragioni di principio per limitare l’utilizzo dell’IA all’attività amministrativa vincolata. L’attività autoritativa, anche se svolta da un algoritmo, deve comunque garantire la conoscibilità del processo informatico e dei criteri applicati, in ossequio al principio di trasparenza. È fondamentale che la “formula tecnica” dell’algoritmo sia accompagnata da elementi che permettano di rilevare appieno la “regola giuridica” applicata dal programma, rendendola leggibile, comprensibile, conoscibile e sindacabile.
L’algoritmo, quindi, viene inquadrato come uno strumento procedimentale e istruttorio, soggetto alle medesime verifiche tipiche di ogni procedimento amministrativo. Questo impone un suo disegno e sviluppo che tenga conto sia della dimensione digitale che di quella giuridica e normativa. Ne emerge con forza l’esigenza di nuove competenze ibride, capaci di coniugare il sapere tecnologico con quello giuridico, per garantire la legalità, la trasparenza e un controllo effettivo dei processi automatizzati nella Pubblica Amministrazione del futuro.
Rosa Colucci